Perché un viaggio in Oman?

La maggior parte delle persone non sa situare questo stato nella giusta collocazione geografica; nella migliore delle ipotesi lo confondono con i vicini Emirati e con il più celebre Dubai.
Chi decide di andarci (non moltissimi in verità) non lo fa tanto per dire "fàmolo strano", come piaceva a Verdone in un suo film; il punto di forza del viaggio è la possibilità di fare un'esperienza del deserto e di spazi incontaminati in una realtà sociale e politica tranquilla, dove chi offre rispetto viene a sua volta rispettato o almeno lasciato in pace.

L'illuminato sultano omanita ha scelto per il suo popolo un cammino di progresso e miglioramento senza abbandonare il solco della tradizione e privilegia l'istruzione e un benessere diffuso. Il paese si è aperto in tempi relativamente recenti al turismo e sta facendo anche in questo senso un grosso sforzo per migliorare le strutture.

Arrivata a Mascate, la capitale, trovo una specie di Montecarlo araba, con bianche costruzioni a metà tra modernità e tradizione e tappeti curatissimi di verde e fiori. Onnipresenti indiani si occupano di tutto, commercio, servizi e manutenzioni, mentre gli Omaniti se la prendono calma, almeno per quanto riguarda i lavori più umili, forti delle garanzie economiche che offre loro il petrolio. Con stupore trovo anche un'invasione inaspettata di Italiani (ma come, se quasi nessuno sapeva dov'era l'Oman?) e scopro che Mascate è una tappa della Costa Crociere nel golfo Arabico. Quando li incontriamo fuori della capitale, durante la visita di uno dei forti portoghesi disseminati su tutto il territorio, ci prende lo sconforto; una settantina di drappelli di turisti, ognuno con la sua guida, renderebbe affollato anche il deserto! Per fortuna la nave si ferma solo un giorno; peccato per loro, però: porteranno a casa una visione dell'Oman che non è quella reale.

Ce ne accorgiamo quasi subito, appena ci allontaniamo da Mascate; tra la capitale ed il resto del paese c'è una diversità enorme e il mondo moderno sembra confinato solo nello spazio limitato della città. Nel resto dell'Oman si torna ad una dimensione arcaica, in cui la natura fa da padrona e l'uomo si adatta alle sue leggi canalizzando l'acqua, formando le oasi, costruendo villaggi con poveri materiali. Con due jeep la nostra comitiva di sette persone si inerpica per piste difficoltose, giunge a minuscoli paesi acquattati nei canyons di montagne dai profili tormentati. Niente donne in giro e quelle poche che vediamo hanno il volto coperto da una mascherina nera; come al solito i più curiosi e sfrontati sono i bambini per i quali il passaggio di turisti costituisce ancora una novità. Una notte gelida in un campo tendato in montagna vede raccolto intorno al fuoco un gruppetto di persone provenienti dai quattro angoli della terra; ci uniamo a questa piccola Onu per chiacchierare e fare dei giochi; sembra di essere tagliati fuori dal mondo eppure così vicini a tutti. L'indomani visitiamo altri bellissimi forti, agguerrite sentinelle contro chissà quale nemico; e questa volta, senza la presenza invadente dei crocieristi, si vive quasi un'atmosfera da "Deserto dei Tartari".

L'incontro con il deserto è entusiasmante; le sabbie del Wahiba Sands offrono una tavolozza di colori che si arricchisce di nuove sfumature man mano che ci si avvicina al tramonto. Scalare le dune è un esercizio impegnativo, ma la visuale ripaga della fatica. Il campo ci offre una serata con intrattenimento di musica araba attorno al fuoco; c'è un po' di affollamento, dato il periodo natalizio, ma il fascino del posto si fa comunque sentire. Il giorno successivo seguiamo di nuovo le piste nel deserto, invisibili ad occhi inesperti, incontrando piccole oasi con pozzi, recinti di dromedari e beduini che vivono ancora secondo le loro usanze ancestrali, ma ormai hanno le Toyota parcheggiate fuori della tenda.

Le dune finiscono direttamente nell'Oceano e da lì seguiamo la costa incontrando piccoli villaggi di pescatori. In un porticciolo che sembra fuori del tempo acquistiamo del pesce per imbandire un cenone che gli usi del luogo ovviamente non prevedono. Il ristorante mi offre la possibilità di entrare in cucina dove il cuoco indiano segue incuriosito e divertito le mie mosse; non è facile preparare qualcosa senza gli ingredienti a cui siamo abituati, ma l'esperienza è divertente e il risultato soddisfa tutti. Condividiamo con il proprietario dell'hotel un improbabile Capodanno italo- indiano- omanita, con baci ed abbracci di spirito ecumenico. Il giorno dopo riprendiamo la strada lungo la costa, che riserva molti punti di interesse: il porto di Sur, bianca cittadina sulla baia, rievoca le atmosfere di Simbad il marinaio; Qalhat ricorda il passaggio di Marco Polo durante uno dei suoi viaggi; i wadi, profonde gole che tagliano le montagne, nascondono limpidi corsi d'acqua che si frammentano in cascatelle e azzurre pozze orlate dalle palme.

La fine del viaggio ci dà un'emozione unica, un'uscita notturna per vedere i luoghi di cova delle tartarughe marine in una zona diventata Parco Nazionale. Incontriamo lungo la spiaggia due di questi pesanti animali; una, dopo aver faticosamente arrancato lungo la battigia, incontra l'onda e rientra nell'Oceano, l'altra con possenti colpi delle zampe anteriori ricopre di sabbia le uova appena deposte. Lì vicino alcune tartarughine appena nate a gran velocità cercano l'acqua e la salvezza. Rimaniamo a guardarle in silenzio, affascinati dalla forza del loro istinto ed emozionati per questo piccolo miracolo della natura; tutti noi pensiamo che questo momento potrebbe bastare da solo a giustificare le fatiche ed i disagi del viaggio. Il ritorno nella capitale ci riporta nella nostra civiltà con la sensazione di aver fatto un cammino indietro nel tempo e forse anche dentro noi stessi.

Paola Baldoni